Cucina de Noantri

ciaùscolo (o ciavuscolo o ciabuscolo, filologicamente più corretto) è un insaccato tipico della regione Marche.
Viene prodotto in particolare nel territorio maceratese e di Ascoli Piceno, soprattutto nella zona dell'Appennino Maceratese-Ascolano e in parte quello Perugino i comuni interessati sono quelli di: Sarnano, Ussita, Montemonaco, Arquata del Tronto, Acquasanta Terme, Norcia)
Di un invitante colore rosato, è un salame spalmabile, costituito da polpa e grasso di maiale (in percentuali variabili) con l'aggiunta di sale e spezie quali pepe nero e aglio pestato, e, in alcuni rari casi, con l'aggiunta di "vino cotto" (gli ingredienti sono comunque variabili a seconda degli usi locali). L'impasto, ricavato al termine di almeno due macinature di questi ingredienti, viene insaccato in un budello anch'esso di maiale (o sintetico) e dopo la stagionatura, che va da alcune settimane ad alcuni mesi (a seconda che si preferisca il ciauscolo più o meno morbido), è pronto per essere consumato. Esiste una variante in alcune zone delle Marche (soprattutto nelle zone di Macerata) detta "ciaùscolo di fegato" o "mazzafegato" o "fegatino", in cui una certa quantità di grasso viene sostituita da fegato, sempre di suino, il che ne rende il colore molto più scuro e il sapore più intenso. In quest'ultimo caso spesso vi si aggiunge, quale ulteriore ingrediente, buccia di arancia finemente tritata, ma anche fiore di finocchio.
L'etimologia del termine viene da alcuni fatta risalire al latino cibusculum, ossia «piccolo cibo», dal momento che questo gustoso salume viene spesso spalmato su piccole fette di pane, e il termine dialettale ciausculu, che sta a indicare il budello gentile adoperato appunto per gli insaccati, deriverebbe dal nome di questo salume; secondo altri, invece, sarebbe il contrario.[senza fonte]
Molti piccoli produttori che da generazioni fanno il Ciauscolo hanno rifiutato di aderire al consorzio di Tutela del Ciauscolo IGP, poiché considerato troppo allargato non solo geograficamente ma anche perché il disciplinare contempla la possibilità di utilizzare eccessivi antiossidanti e conservanti che ne alterano le caratteristiche tradizionali del prodotto snaturandolo. Avendo ottenuto riconoscimento da parte di UE e Ministero delle Politiche Agricole e Forestali numerosi piccoli artigiani hanno rinunciato a chiamare col nome ciauscolo inventando nomi tipo Vissuscolo, Giauscolo o Salame Morbido.





Pane di Lariano e di Genzano.

Nei Castelli Romani, la storia del pane è strettamente connaturata alla storia del mondo contadino; mentre, nel tempo, le migliorie apportate nelle tecniche di produzione, l’ottima qualità delle acque impiegate, il perfetto abbinamento con i piatti tradizionali della cucina castellana, ne hanno decretato il successo e la notorietà che durano ancora oggi.
Informandoci qua e là presso i fornai delle nostre zone, abbiamo rilevato che i procedimenti di lavorazione del pane casereccio sono più o meno ovunque gli stessi: la lavorazione avviene nell’impastatrice (unico procedimento meccanico usato) e dura ca. mezz’ora; poi l’impasto è lasciato a crescere “in loco” per un’ora; quindi si toglie dall’impastatrice, e si realizzano le varie “forme”, dopo di che i pani si mettono una seconda volta a lievitare nelle tavole di legno (contenitori di ca. 2 m) per mezz’ora o un’ora al massimo. Il tempo di cottura è di 1 ora - 1 ora e dieci. Tutto il procedimento di panificazione dura quindi tra le 4 e le 5 ore.
A variare sono i prodotti usati per gli impasti, e i tipi di forno (oltre, naturalmente, all’aria e all’acqua che sono di difficile “esportazione”!).

Il pane ai Castelli è, certamente, buono ovunque, ma diverso da un paese all’altro. Tra i vari “pani”, spiccano quelli di Genzano e Lariano per caratteristiche peculiari che li rendono “riconoscibili” a livello - almeno - nazionale; mentre però il pane di Lariano sta ancora faticosamente cercando il proprio riconoscimento “ufficiale”, in adeguamento alla complicata normativa europea, quello di Genzano ha avuto maggior fortuna, ottenendo nel ’97 il marchio IGP (Reg. CEE 2081/92 – marchio relativo a prodotti agricoli o alimentari la cui qualità e reputazione sia attribuibile alla propria origine geografica e la cui produzione e/o elaborazione avvengano in quella determinata area). Anche il pane ariccino - un po’ “figlio” di quello di Genzano, perché prodotto per lo più da famiglie genzanesi trasferitesi nella vicina Ariccia – vanta da qualche anno una buona notorietà.
…Non ci resta dunque che “assaggiarne” qualcuno, e rimandare - a breve - un’indagine più esaustiva su tutti i pani del nostro territorio.





Il pane di Genzano ottimo per la bruschetta


Di tradizione molto antica e già apprezzato nel 1800, quando veniva lavorato dalle singole famiglie che lo cocevano in forni a legna denominati “socce”, è dagli anni ‘40 del secolo scorso che ha acquisito un’enorme reputazione prima presso gli abitanti di Roma e poi anche al di fuori del Lazio.
Nel 1988 è nato il “Consorzio Tutela Pane Casereccio di Genzano”, al fine di tutelarlo e promuoverlo sul mercato.
L’adozione del marchio IGP – approvato con il Reg. CE 2325 del 24/11/97 – ha comportato per i panificatori l’osservanza di regole ben precise per garantire le caratteristiche formali di pezzatura (peso da 0,500 kg a 2,500 kg; pagnotte con “baciature” ai fianchi o filoni rotondi e lunghi), spessore della crosta (3 mm ca.), di colore e consistenza della mollica (colore avorio; alveoli di grandezza regolare), fragranza (di cereale genuino, che ricorda il profumo del granaio), sapore (sapido), umidità (max 33,7%) e peso specifico (0,23 Kg/cm cubo), su cui vigila il Consorzio dei produttori. L’impasto - o “biga” - viene preparato almeno due ore prima per raggiungere la giusta acidità, con lievito integralmente naturale, farina di tipo 0, sale e acqua, e rinfrescato tutti i giorni con acqua e farina. La durata della fase di crescita - di ca. un’ora - viene seguita dal controllo diretto del fornaio, che poi procede alla realizzazione delle forme, collocandole in casse di legno su teli di canapa e spolverandole con cruschello o tritello. Dopo la seconda fase di crescita (ca. 40 minuti), c’è la cottura, che può durare dai 35 minuti a un’ora e 20 ca., ad una temperatura tra i 300 e i 320° e, secondo il disciplinare, può avvenire in forni sia a legna sia con diversa alimentazione – la quantità in ogni caso è migliore con l’utilizzo del forno a legna, meglio se di castagno.
Il pane di Genzano si abbina bene a qualunque pietanza, ma abbrustolito e condito con l’olio extra vergine di oliva a crudo diventa un ottimo antipasto (la tipica “bruschetta”).









Ricotta

La ricotta, pur essendo un prodotto caseario, non si può definire formaggio ma va classificata semplicemente come latticino: non viene ottenuta infatti attraverso la coagulazione della caseina, ma dalle proteine del siero di latte, cioè della parte liquida del latte che si separa dalla cagliata durante la caseificazione.
Il processo di coagulazione delle sieroproteine avviene ad un'alta temperatura (80-90 °C): il siero viene quindi letteralmente ri-cotto. Le proteine interessate sono in particolare albumina e globulina. La tecnologia più antica consisteva solamente nel riscaldare il siero aspettandone la denaturazione e conseguente affioramento della ricotta in superficie. Nei secoli si sono via via sviluppate tecnologie che, sfruttando la reazione di saturazione salina, ottenevano un migliore recupero ed una più alta qualità. Tali tecnologie sono quelle riconducibili all'impiego di acque sorgive e/o marine ieri, ed oggi sali per ricotta. Spesso vengono anche aggiunte soluzioni acide (di acido citrico, tartarico o cloridrico) per catalizzare la coagulazione.
Il metodo tradizionale siciliano, ancora praticato in alcune piccole aziende agricole dove il formaggio viene preparato ogni giorno con latte fresco e senza additivi, utilizza la scotta inacidita del giorno prima come catalizzatore: il liquido che rimane dopo la produzione della ricotta viene messo da parte, e lasciato inacidire durante la notte e il giorno dopo una piccola quantità di questo liquido viene aggiunta al siero riscaldato per produrre la ricotta.
La massa coagulata viene poi posta in recipienti perforati (anticamente si usavano cestini di vimini o di canne) per scolare il liquido in eccesso.
La ricotta ha un sapore che volge verso il dolce, dovuto al lattosio presente nel siero in misura variabile dal 2 al 4 per cento, in funzione del latte utilizzato. Il contenuto in grasso varia dal 8% (ricotta vaccina) al 24% (ricotta ovina).
E' riconosciuta a livello nazionale come  prodotto tradizionale tipico, questo proposta di alcune realtà locali quali in particolare la regione Basilicata, la regione Calabria e la regione Lazio nelle denominazioni: ricotta, ricotta forte, ricotta salata, ricotta romana, Ricotta affumicata.

Nella regione Campania è riconosciuta come prodotto agroalimentare tradizionale la ricotta di Fuscella.

Ricotta ROmana DOP logoLa ricotta romana, che ha ottenuto il marchio DOP (identificabile dal logo che contiene una testa di ovino e le scritte "ricotta" in giallo e "romana" in rosso), ha origini antichissime.
Il disciplinare di produzione prevede che il siero debba essere ottenuto da latte intero di pecora proveniente dal territorio della regione Lazio e la lavorazione, trasformazione e condizionamento devono avvenire nel solo territorio della regione Lazio. La ricotta romana (foto a sinistra) viene confezionata in cestelli tronco-conici di vimini, di plastica o di metallo, oppure avvolta in carta pergamena o sottovuoto. Ha un caratteristico sapore dolciastro che la distingue da ogni altro tipo di ricotta.

La ricotta al forno è una preparazione culinaria tipica della Sicilia. Questa ricotta, salata a secco e infornata si presenta compatta con una crosta superficiale bruna e croccante, dall'aroma particolare. La ricotta al forno esiste in molte varianti dolci, salate, e speziate, per esempio al limone.

In corsa per l'ottenimento del marchio europeo DOP, nelle valli valdesi, in provincia di Torino, viene prodotto un particolare tipo di ricotta stagionata nel fieno che si chiama Saras del fen.

In Sardegna viene prodotta sia la ricotta fresca, che ha forma cilindrica che quella salata stagionata che viene solitamente grattugiata.
La ricotta calabrese viene prodotta anche in Sicilia e si ottiene da latte di capra o di pecora e mescolato con formaggio pecorino e cotta al forno. La calabra condita viene essiccata in forno e insaporita con il peperoncino (foto a sinistra); l'infornata siciliana fresca viene salata e cosparsa di pepe nero macinato.
La ricotta “marzotica”, prettamente pugliese, il cui nome deriva dal periodo primaverile, marzo, che i casari da sempre scelgono per produrla, è arricchita di sale ed è pronta dopo un mese di stagionatura, quando sulla crosta si è formata una leggera muffa. Una volta veniva conservata tra foglie molto aromatiche ed esposta al pubblico avvolta in verdeggianti involucri. Il sapore è lievemente piccante. La forma è tonda.
Sempre pugliese è la ricotta detta “schianta” o “forte”, che prevede l'aggiunta di sale e peperoncino piccante, e viene utilizzata per condire i primi piatti.

La ricotta toscana è magra, con gusto asciutto e delicato.

Le proteine della ricotta,  sono uno dei punti di forza di questo latticino. Le proteine del siero del latte hanno infatti un valore biologico estremamente superiore a quello sia del formaggio che della carne.

Per questa ragione il suo consumo è assolutamente consigliato.



A livello calorico, pur non essendo sicuramente un prodotto grasso, occorre comprendere che la tipologia della preparazione della ricotta influisce sull'apporto di calorie.

Pur partendo infatti dal siero del latte, spesso vengono aggiunti latte e panna, in percentuale variabile. Sarà proprio questa variabile a determinare anche l'apporto calorico.

Questa regola naturalmente diventa più semplice da comprendere nel caso di prodotti industriali, dove per legge devono essere riportati i valori. In questo caso basterà acquistare prodotti con livello contenuti di grassi per comprenderne l'apporto calorico derivante.

Sostanzialmente possiamo quindi effettuare una grande distinzione fra la ricotta di solo siero, quindi priva di latte o panna aggiunta in seguito, e quella appunto di latte.

Definire la migliore è anche fattore di gusto personale, ma sicuramente è preferibile, specie se acquistata da produttore artigianale, quella di siero.

Sarà comunque il vostro palato a stabilire quale prodotto è preferibile per il vostro personale consumo.

L'uso in cucina della ricotta è decisamente vario. Possiamo usarla per produrre pane ma anche dolci, come impasto per torte oppure per la produzione di dolci. E' quindi un alimento polivalente e per questa ragione è importante decidere quale prodotto acquistare in base al suo utilizzo finale.

Semplicemente per dolci, torte e primi piatti piuttosto calorici sarà preferibile scegliere una ricotta che invece avrà poche calorie. e, come sopra anticipato, se artigianale preferire quella di solo siero. Nel caso di ricotta industriale valutatene una con una percentuale di grassi inferiore al 10%.

Se invece intendete degustare la ricotta nella sua squisita semplicità, ossia senza aggiungerla come ingrediente ad altre preparazioni, potrete sicuramente orientarvi verso un prodotto con l'aggiunta di latte e naturalmente il più fresca possibile.











Puntarelle o Cicoria asparago


La cicoria asparago è una verdura facente parte della famiglia della cicoria, dal sapore amarognolo. In alcune zone d'Italia viene chiamata catalogna.
Ci sono comunque almeno due tipi: uno più alto ed eretto, il quale essendo più amaro si presta meglio alla cottura; l'altro più basso, a costa larga, i cui germogli si nascondono all'interno del cespo, sono buonissimi da mangiare crudi (spesso con aggiunta di aglio e acciughe) e sono noti come puntarelle, diffusi anche nella cucina campana ed in particolare nella  cucina romana dove ha trovato un vasto consenso.
La catalogna contiene fosforo, calcio e vitamina A, inoltre ha la proprietà di stimolare le funzioni digestive e diuretiche. Già Galeno la indicava come dotata di proprietà medicamentose
La regione Lazio ha riconosciuto la tipicità di questo ortaggio inserendolo nell'elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani col nome cicoria di catalogna frastagliata di Gaeta (puntarelle) corrispondente alla varietà che viene consumata cruda.  La regione Veneto, invece, ha riconosciuto la Cicoria catalogna di Chioggia che al contrario viene generalmente consumata dopo essere stata lessata.



Le puntarelle sono uno dei più tipici piatti della tradizione romana, croccanti e dal caratteristico sapore amarognolo, è un piatto gustosto e nel suo insieme molto semplice, questi elementi sono la base di un successo che va addirittura oltre i confini della regione di appartenenza. I germogli della catalogna spigata, dopo essere stati tagliati a filetti, vengono messi in una ciotola piena di acqua fredda e ghiaccio con l'aggiunta di una spruzzata di limone,  questa operazione conferisce la classica forma definità “arricciata”.   L’insalata di puntarelle alla romana è una ricetta che risalirebbe addirittura agli antichi romani che, secondo quanto riportato dalle cronache, erano dei gran consumatori di questa verdura.








2 commenti:

  1. Ottimo allora quando tornerò a cena da voi mi farai assaggiare i tuoi piatti. Bea

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Gentile utente, grazie per mostrato attenzione nei miei confronti. Mi auguro, nel prossimo futuro, che il tuo interesse ti porti nuovamente su questo sito; colgo l'occasione per salutarti e augurarti un sereno proseguimento di giornata.
Ciao.